di Valter Vecellio
Sono importanti diari, carteggi, le lettere che un tempo ci si scambiava, si scrivevano, si conservavano. Oggi strumenti desueti: le future generazioni studiosi, ricercatori, storici, cosa mai potranno utilizzare: i futili e vacui SMS, i messaggi attraverso i social? Per fortuna in qualche occulto ma sicuro archivio saranno conservate le registrazioni delle conversazioni telefoniche. È sperabile che dopo un certo numero di anni, pur se effettuate nella clandestinità e illegalmente, siano rese disponibili: non per voyeurismo; piuttosto per carpire, recuperare, ricostruire quegli intimi moti che sono il sale dei singoli e della società in cui sono immersi. Diari, carteggi, lettere sono fondamentali per studiare e comprendere un autore, i suoi percorsi, le influenze subite, le ragioni “vere” della sua arte. Materiali preziosi per chi desidera approfondire, penetrare nell’animo del “suo” autore.
Ecco dunque due preziose raccolte per quel che riguarda Leonardo Sciascia: L’illuminismo mio e tuo e Ladri di luce. Il primo volume, curato con ben nota acribia da Mario Barenghi e Paolo Squillacioti, raccoglie le lettere che dal 19 maggio 1953 all’11 settembre 1985 si scambiano Sciascia e Italo Calvino: certificazione di un’amicizia solida e di una reciproca stima fatta di consigli editoriali, raccomandazioni sugli stati di salute, progetti, valutazioni a volte discordanti sulla politica o i fatti della vita; comunque amicizia rara fatta di fiducia e confidenza. Il secondo carteggio è con un artista da Sciascia molto stimato: Piero Guccione. “Un lungo sodalizio umano e artistico”, annota la curatrice Lavinia Spalanca. “Il segreto della loro amicizia risiede nella comune vena contemplativa e in un’analoga esigenza di chiarezza…su una consegna di eticità, alimento della vera passione artistica, si fonda dunque l’intensa amicizia fra Sciascia e Guccione…”. Lo stesso Guccione in una nota chiarisce che il loro rapporto può essere definito uno “scambio tra parole e immagini. Uno scambio sempre nutrito di intelligenza e di sensibilità”.
Ecco le parole adatte, “intelligenza e sensibilità”: ogni riga di questi carteggi ne è pregna. Si entra così in punta di piedi in mondi fantastici, reali e immaginari insieme; quelle lettere, quelle reciproche confidenze, quel “pesare” il mondo, sono testi preziosi che arricchiscono. In una lettera dell’ottobre 1964 Calvino annota: “Parlo di te per cercare di vedere chiaro anche in me”. Per parafrasare: leggiamo di loro e vediamo più chiaro in noi.
Ci sono poi un altro paio di libri di cui è opportuno fare cenno: Leonardo Sciascia. Confessioni di un investigatore, di Milly Curcio e Luigi Tassoni; e Leonardo Sciascia negli occhi delle donne, di Rossana Cavaliere.
Curcio e Tassoni qualche anno fa ci hanno regalato un altro splendido carteggio: quello tra Sciascia e lo scrittore calabrese Mario La Cava. Questa volta hanno raccolto numerosi loro scritti sparsi e come si dice “d’occasione”. Il libro merita ben più meditata riflessione (e non mancherà). Qui, tiranno lo spazio è preferibile limitarsi a quanto gli autori spiegano nella nota introduttiva: “Il mondo di Sciascia è costellato da obiettivi mancati da parte dei suoi investigatori, ma anche da affascinanti imprevisti e scoperte, intendiamo veri e propri sarcofagi scoperchiati, grazie a immagini che mettono gli uni di fronte agli altri, vittime e carnefici, desiderio di giustizia e cattiva lettura della storia, insomma, alcuni dei fondamenti (sia pure mobili) della nostra contemporaneità. Questo nostro libro…attraversa alcuni sentieri meno battuti di un bosco tanto infestato da mostri e fantasmi quanto da passioni e piaceri, e illuminato da quelle verità che partono dalla letteratura e ritornano alla letteratura, avamposto concreto d’ogni umana aspirazione”.
Il libro di Rossana Cavaliere, infine. Si parte da un interrogativo: “Che cosa pensano di Sciascia donne famose le cui vite si sono intrecciate con la sua, per motivi e intervalli di tempo diversi?”. Si cimentano Barbara Alberti; Rita Cirio; Bianca Cordaro; Silvana La Spina; Franca Leosini; Dacia Maraini; Giannola, Cristina, Antonella e Betty Nonino; Marcelle Padovani; Domenica Perrone; Anna Maria Sciascia; Francesca Scopelliti; Elisabetta Sgarbi. Libro da leggere con il proverbiale cum grano salis. Padovani, per esempio, fa risalire la rottura di Sciascia con Renato Guttuso alla deludente esperienza del primo quale consigliere comunale a Palermo, mentre a tutti è noto che fu il “tradimento” del pittore che per ragioni di partito si schierò con Enrico Berlinguer e contro Sciascia nella polemica sulle quanto mai probabili infiltrazioni e condizionamenti delle Brigate Rosse da parte della Cecoslovacchia. La stessa Cavaliere, in un corposo inciso mette le cose in chiaro. La stessa Padovani accredita una posizione di Sciascia mai assunta e sempre respinta, quella riassumibile nello slogan: “Né con le Br né con lo Stato”, che lei oltretutto stravolge: “Né con le Br né con il PCI”.
Padovani ha avuto occasione di frequentare piuttosto a lungo Sciascia, ne ha ricavato un pregevole libro-intervista La Sicilia come metafora, non di facile reperimento, ormai. La sintonia tra Padovani e Sciascia, come scrive con delicatezza Cavaliere “andò affievolendosi”. Da ciò anche l’aspro giudizio finale appena velato da sottile strato mielato di Padovani: “Un grande letterato, innegabilmente…avrebbe dovuto rimanere tale. Non un guru o una sorta di influencer. Mi rincresce che possa essere, in Italia, non abbastanza valorizzato, mentre rimane uno straordinario scrittore che merita e di essere letto e studiato tuttora”.
Ovvio che un volume di soli apprezzamenti positivi, per quanto motivati e giustificati, a poco servirebbe, raggiungerebbe forse l’effetto opposto. Tuttavia si rimane perplessi nel constatare il livello di incomprensione che si può raggiungere: Sciascia guru o una sorta di influencer… Vero che gli è stato rovesciato ben altro e di peggio.
Tanto ci sarebbe da dire anche su questo libro nel suo complesso. Al momento si segnala la conversazione con Franca Leosini, curatrice nel gennaio del 1974 di una lunga intervista con Sciascia per l’Espresso, “Le Zie di Sicilia”. Fece epoca, un dibattito che “all’epoca furono scritte ben undici terze pagine: in risposta all’articolo e in polemica”, rievoca Leosini. E si tratta di questioni tutt’altro che morte e sepolte…
L’illuminismo mio e tuo
Italo Calvino – Leonardo Sciascia. Mondadori
Ladri di luce
Leonardo Sciascia – Piero Guccione. Leo S. Olschki
Sciascia. Confessioni di un investigatore
Milly Curcio – Luigi Tassoni – Rubbettino
Leonardo Sciascia negli occhi delle donne
Rossana Cavaliere – Vallecchi
di Francesco Perpignano
Libri da leggere in parallelo. Entrambi (ri)portano a memoria e conoscenza fatti ed episodi di una cronaca che si avvia a diventare storia. Daniele Biacchessi, giornalista e scrittore che da anni si dedica alle oscure e inquietanti vicende che hanno insanguinato questo paese, nella nota introduttiva del suo Stragi d’Italia, annota: “Dovevo mettere in ordine lo stato delle inchieste, dei processi, il senso dei fatti”.
Il senso dei fatti: sono “le increspature dello Stato, i depistaggi dei servizi segreti, i fragorosi silenzi degli apparati, gli intrighi di Palazzo, le compromissioni delle istituzioni, le intromissioni di altri Stati stranieri, le vergognose assoluzioni…”.
Sono cinque anarchici, Angelo, Annelise, Franco, Gianni, Luigi, morti in un bizzarro incidente automobilistico, e forse sapevano quello che sapere non dovevano; sono il capo della Mobile di Padova, poliziotto vecchia scuola, Pasquale Iuliano: trasferito improvvisamente a Ruvo di Puglia, forse si faceva troppe domande, magari trovando qualche risposta. Va peggio all’ex carabiniere Alberto Muraro, trovato morto nel vano dell’ascensore dopo un volo di 15 metri… 250 pagine fitte di coincidenze e di incidenze. Il libro di Biacchessi è prezioso anche per le testimonianze preziose e autorevoli raccolte. Un magistrato, Guido Salvini, che si è molto occupato di terrorismo (e bene), è amaro: “C’è stato un muro opposto alle investigazioni dell’autorità giudiziaria almeno sino alla fine degli anni 80 dai Servizi di sicurezza e dagli alti livelli degli organi investigativi, Polizia e Carabinieri. Tale attività ostruzionistica e di depistaggio ha avuto carattere non occasionale ma sistematico…”.
Un “qualcosa” che si è abbattuto sullo stesso Salvini (e benedette le sue spalle larghe): “C’è la storia vergognosa delle gelosie e delle invidie, ben oltre la semplice mancanza di collaborazione, che hanno segnato il rapporto tra i magistrati che negli anni ’90 indagavano sui vari episodi di strage. Mi riferisco alla vera e propria persecuzione giudiziaria durata per più di sei anni contro di me, allora giudice istruttore, una persecuzione sempre taciuta anche a distanza di tanti anni, per vergogna e autocensura, una delle pagine più vere della magistratura…”.
Si arriva “naturalmente” a Il potere che offende, di Ivano Cimatti. Cimatti per mestiere è avvocato civilista, esperienza che gli giova: è abituato a frugare in archivi, cogliere la carta che “parla”, la individua tra le migliaia occultate in poderosi faldoni, e ne ricava il giusto senso. Come si apre, il suo libro? Con una puntuta introduzione firmata, quando si dice la combinazione, da Guido Salvini. Saccheggiamola: “Questo saggio a sfondo giudiziario di Cimatti affronta per la prima volta il caso Pinelli da un’angolatura istruttiva e spesso trascurata… non è un libro basato su notizie di seconda mano, è scritto con rigore scientifico e si comprende bene dalle note e dai rimandi che l’autore ha dissodato tutte le carte disponibili: dagli atti processuali agli archivi professionali dei difensori che hanno seguito il processo sin dall’inizio, senza dimenticare le carte della Polizia rinvenute negli anni nei vari archivi più o meno nascosti…”.
L’accuratezza è data dal fatto che il saggio si compone di 133 pagine. L’apparato delle note da 65 pagine fitte con nomi, date, “fatti”. Un solo rimprovero, per un simile libro: la mancanza dell’indice dei nomi. Ma anche quello di Biacchessi purtroppo ne è privo. Sempre più le case editrici, anche le più prestigiose ed economicamente ferrate, ritengono di poterne fare a meno.
Conviene, tuttavia, concentrarci sui pregi del libro di Cimatti: il mettere per esempio a fuoco l’operato discutibile e obbediente a chissà quale malintesa ragione, di un magistrato come Gerardo D’Ambrosio (si vada per esempio a sbirciare a pagina 123 e seguenti). Oppure lo sconcertante comportamento del giudice Carlo Biotti, si sarebbe tentati di immaginarlo come George Grosz immaginava gli uomini in toga. Sconcerta come abbia operato, come sia stato lasciato operare; così simile a quelli anni dopo incontrati nella vicenda Tortora e altre simili…E la madre di tutte le domande: come mai il commissario Luigi Calabresi è stato lasciato solo, come mai chi poteva dare un consiglio, non l’ha dato; chi poteva illuminare ha invece operato perché il già fitto buio aumentasse, e in definitiva finisse come è finita?
Ecco: su queste vicende è bene non cali il sipario, che certe domande si continui a porle con ostinazione e caparbietà. Grazie, Biacchessi e Cimatti.
Stragi d’Italia
Daniele Biacchessi – Jaca Book
Il potere che offende
Ivano Cimatti – Pendragon